Osservazioni sociologiche
di alcuni aspetti della Massoneria
Massoneria come società interstiziale
Massoneria come società interstiziale
La Massoneria appare fin dal suo
inizio e probabilmente in forza della sua origine, come società che non è della
corte, né della chiesa, né del parlamento, né della borsa.
Essa è una society of anywhere, società dell’ovunque o in termini sociologici, è società interstiziale, sta nella società senza appartenervi, è ovunque senza appartenere a nessun aspetto della società.
Essa è una society of anywhere, società dell’ovunque o in termini sociologici, è società interstiziale, sta nella società senza appartenervi, è ovunque senza appartenere a nessun aspetto della società.
Al di là della mitologia massonica,
il vero luogo di nascita della Massoneria furono i locali di ritrovo, caffè,
pub, pensioni e alberghi, club perché in essi si identificava e raccoglieva
l’ovunque sociale e civile della società inglese dell’epoca. Ma non solo
inglese, infatti negli equivalenti dei ritrovi inglesi, in tutti i paesi
europei, lì si riunirono le prime logge massoniche. Essi erano luoghi ove tutto
avveniva, lì si facevano affari e stipulavano contratti, lì si discuteva di
letteratura e di scienza, lì si ragionava di teologia o si facevano i piani di
rivolte e d'alleanze politiche. In particolare i pub e caffè erano i luoghi maggiormente
deputati al riunirsi sociale ove tutti si incontravano attorno ai tavoli, in
fertile amalgama di condizioni sociali, mercanti e nobili, ignoranti e dotti,
poveri e ricchi. Lì si andava per stare assieme discutendo di tutto. Se si
voleva stare assieme ed evitare il prevalere di dispute acerrime, che
sicuramente avvenivano, si dovevano stabilire regole di buon vivere assieme e
del buon discutere. Conveniva stabilire una pragmatica, senza regole formalmente
definite, che oggi si chiamerebbe del rispetto reciproco, pragmatica che in
seguito diventerà regola principe della Massoneria. Questa condizione di
interstizialità consentì il pervadere della Massoneria nella società europea
della fine del XVII e del XVIII secolo. Essa, come già detto, non si raccolse
in luoghi istituzionali, e delle istituzioni politiche o religiose o economiche
quindi non faceva parte; era società che potremmo definire, con termine
generico, del sociale e per questo poteva accogliere, in linea di principio,
chiunque.
In queste condizioni di
interstizialità sociale non possono albergare i concetti di giustizia
classista, ovvero di relazioni basate sulle sperequazioni economiche e di
classe; era una pragmatica del protoilluminismo inglese e francese seicentesco
e della sua idealità essenziale, fondata su concetti di religiosità elementare
che non distingueva tra una corrente teologica e l’altra, religiosità così basilare
al punto di riferirsi a un Ente Supremo non definito e non spiegato, su una
morale condivisibile da tutti gli uomini e anche su concetti di giustizia
sociale elementare, fatta di pochi ed essenziali principi che saranno poi le
strutture ideologiche portanti della futura democrazia occidentale, gli stessi
principi che un secolo dopo saranno consacrati dall’Illuminismo francese ed
europeo.
Le condizioni per entrare in questa
società egualitaria erano elementari nella loro semplicità: essere in buona
salute, essere liberi, cioè non essere schiavi o sottoposti a servitù (in
società allora schiaviste) o sotto coercizione della legge, avere una buona
reputazione e sani principi. Solo questo. Altrettanto semplice ed elementare
era il rapporto con le questioni inerenti i poteri istituzionali, statali e
religiosi; riprendendo i principi della Royal Society quando ci si riunisce non
si devono affrontare questioni politiche o religiose, che sempre sono motivo di
dissidio o che possono attirare lo sguardo malevolo delle istituzioni.
Possiamo definire dunque la
Massoneria nella sua forma come una società interstiziale elementare.
Tutt’altro discorso è quello sui
suoi contenuti, sulla sua sostanza, che tutto può essere definito meno che
elementare ed interstiziale. Al suo interno la Massoneria era e rimane una
società gerarchica e verticistica, ugualitaria per un verso e di gradazione del
potere interno per un altro, elitaria per iniziaticità e segreta per
esotericità. Tutti aspetti che la rendono estremamente complessa e difficile da
comprendere e conoscere dall’esterno.
Massoneria come
società autopietica
La Massoneria è una società che
nelle sue relazioni con la società civile e statuale può apparire come società
interstiziale; d'altro canto, dal suo punto di vista interno, può essere
definita, prendendo il termine da Humberto Maturana[1], come società autopoietica[2], ovvero
società che è in grado di elaborare autonomamente un sistema di miti, rituali e
linguaggi simbolici che la determinano come sistema autoriflessivo, in sé
determinato, chiuso ed autoriproducentesi.
Tale società, costituitasi in forme
di logge, prima estranee l’una all’altra e poi aggregate in Gran Logge, si
sorreggeva su un apparato ideologico ugualitario e democratico, in un’epoca
europea caratterizzata quasi totalmente da regimi monarchico-assolutisti.
Tale ideologia si distingueva sul
suo valore fondante dell’iniziaticità ed esotericità del suo pensiero e del suo
operare rispetto alle altre forma associative dell'epoca. Inoltre, un altro
aspetto la distingueva rispetto alle usuali forme sociali, quello della
segretezza. Questi tre pilastri, uguaglianza, democraticità e segretezza,
venivano a costituire una sorta di legame sociale che poneva la loggia come
micro-società separata dal resto delle forme sociali civili e religiose. È
importante osservare che tale legame tendeva ad assumere la forma di
prefigurazione della riforma della società profana, che nel secolo successivo
si realizzò in molti stati, talora in modo implicito e in non pochi casi in
modo esplicito.
Alcuni autori considerano le logge massoniche come “attività mitopoietiche” che, in seguito, daranno luogo alle forme sociali ed associative prettamente politiche come i partiti di massa e le unioni sindacali.
Alcuni autori considerano le logge massoniche come “attività mitopoietiche” che, in seguito, daranno luogo alle forme sociali ed associative prettamente politiche come i partiti di massa e le unioni sindacali.
La Massoneria, da un punto di vista
sociologico, oltre che storico e di filosofia del pensiero politico, si
definirebbe come azione mitopoietica, cioè società che inventa il legame
sociale estraneo ai circoscritti ambiti socio-professionali, religiosi e
politici ponendosi come modello originale di una società di cui si sentivano
forti le istanze di cambiamento e circondando questa nuova visione in un ambito
di allegorie che ne giustificavano l'ascendenza mitica. Essa è dunque, in senso
sociologico, la matrice da cui si fonderanno le forme politico-democratiche e
repubblicane che ancora oggi, nel XXI secolo continuiamo a vedere come
universalmente valide. Sostenuto
Nell’età del XVII e XVIII secolo,
epoca di grandi rivolgimenti morali e religiosi, culturali e politici, la
Massoneria s’imponeva come un’originale forma associativa non fondata sui
legami di sangue e di professionalità. Le gilde e corporazioni scomparivano a
fronte degli impetuosi cambiamenti tecnologici che pretendevano nuove forme
professionali e nuovi processi produttivi, le chiese si frantumavano e si
combattevano con ferocia inaudita rimodellando gli stessi confini statali e le
istituzioni conseguenti ai nuovi stati.
Tutto ciò avveniva con gran
spargimento di sangue e spreco di risorse economiche e sociali. Finalmente a
ciò seguì un’ondata di reazione morale, con la richiesta di opporre
all’intransigenza religiosa e politica la tolleranza civile, ed anche una
reazione di innovativi rapporti sociali di produzione che portava al sorgere di
nuove classi sociali, più consapevoli del proprio ruolo nella storia dell’umanità
europea e non solo.
Nella seconda metà del '700 si
vedevano crollare, almeno nella loro giustificazione ideale, gli ordinamenti
sociali gerarchicamente fondati e, d'altro verso, l’idea di uguaglianza si
diffondeva ovunque, pur tra le profonde contraddizioni interne delle chiese e
l’opposizione istintiva dei governi assolutisti, superando i confini tra stati,
tra classi sociali, tra credi religiosi, tra sistemi produttivi.
L’Europa del XVII e XVIII secolo
conosceva una forma di globalizzazione socioculturale travolgente, qualitativamente
non dissimile da quella odierna. Questa globalizzazione rivalutava la
soggettività della persona, già ampiamente elaborata dalla Riforma protestante
e veniva radicalmente e non casualmente affermata dalle prime logge massoniche
britanniche.
La globalizzazione seicentesca e
settecentesca condusse all’affermarsi del diritto in una sua visione
naturalistica, depurata delle concettualizzazioni metafisiche sia in campo
religioso che statuale, tale per cui si mise in discussione non solo il potere
inteso per diritto divino, ma anche lo stesso svolgersi dei rapporti sociali di
produzione secondo regole teologicamente fondate. La morale veniva a
ridefinirsi sulle condizioni del soggetto che assumeva la valenza di
riferimento di ogni vivere sociale e civile e che, alla fine, con Hegel, veniva
separato il costrutto logico tra i distinti concetti di morale ed etica.
Nelle logge si attuavano forme relazionali
che negavano le differenziazioni di classe, tanto che in quelle esclusivamente
composte da nobili, questi rinunciavano alla formale gerarchia nobiliare fino
al punto di incominciare ad accettare all'interno delle proprie logge, in una
forma di radicale egualitarismo, persino chi non era nobile. Soggettività e
diritto si combinavano in modalità poietica dando forma a nuovi sistemi di
vivere associato ove il diritto di cittadinanza era prescrittivamente assoluto,
e che nelle logge si universalizzava operativamente e teoreticamente prendendo
forma di ideologia illuministica.
Nella loggia le relazioni
interpersonali dipendevano da una dimensione giuridica mitopoietica,
assolutamente estranea al mondo profano e insieme si circoscriveva in una
dimensione autopoietica che la difendeva dalle interferenze sociali. I rituali
iniziatici si autodefinivano come magistratura della condotta morale e civile
che prescindeva da quella profana e tale magistratura massonica s’esprimeva in
forma di certificazione iniziatica dell’essere soggetto agente dentro e fuori
la loggia.
Il destino dell’iniziato si
prefigurava come manifestazione del destino futuro di tutta l’umanità, come
momento genetico dell’edificazione di nuove identità collettive, come elemento
primordiale del laboratorio della modernità.
Forse solo Hegel è stato in grado
di intuire la grandiosità del mutamento della sua epoca in termini così netti e
liberi da ogni preconcetto culturale, quando chiedeva, nelle sue Lezioni di
Estetica: “ 'Che cos'è sacro?' chiede una volta
Goethe in un distico e risponde ' è ciò che lega insieme molte anime'. In
questo senso possiamo dire che il Sacro, con le finalità di questo legame e
proprio in quanto questo legame, ha costituito il primo contenuto
dell'architettura [come opera] autofinalizzata. L'esempio più diretto ci è
offerto dalla storia della torre di Babele... tutti lavorano in comune e la
comunanza della costruzione diviene al contempo il fine ed il contenuto
dell'opera stessa. La fondazione di questo legame sociale in effetti non
costituisce una mera unione patriarcale, anzi l'unità familiare proprio allora
si è dissolta; l'edificio che svetta nelle nuvole è il simbolo della
dissoluzione della società primitiva e del formarsi di una nuova e più ampia
unione... così come nel nostro tempo sono i costumi, la consuetudine e
l'ordinamento dello Stato fondato sulla legge che stringono questi legami.“
[1] Humberto
Maturana biologo, cibernetico e filosofo
cileno. Ha sviluppato la teoria dell'autopoiesi integrando scienza, filosofia e
umanistica in una epistemologia sperimentale concependo la realtà come un costante
processo di consenso sociale: una comunità pensante è oggettivamente presente
appena appare come consensuale; il consenso è sorretto dall’apparire reale del
fenomeno. Maturana ha così sostituito al concetto di oggettività il nuovo
concetto di costruttivismo.
[2] Un
sistema autopoietico è un sistema autoriflessivo, autonomamente esistente e
autoriproducente. Un sistema autopoietico si rappresenta come processualità di
creazione, trasformazione e distruzione dei propri componenti che, interagendo
fra loro, elaborano la capacità di rigenerazione del sistema stesso. Tale
sistema si autodetermina esistenzialmente mediante il controllo della
distribuzione relazionale ottimale delle componenti al suo interno.